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Domanda 01 | 08

Quando hai cominciato ad appassionarti all’informatica? Raccontaci la tua prima esperienza con un computer!

Nath — Il primo PC è arrivato a casa mia all’inizio del 1997. Non era ancora collegato ad internet, e lo sarebbe stato dopo pochi mesi. Era un Pentium 100 e il suo sistema operativo era Windows 95. Ai tempi, usavamo solo Paint, Word, Excel, Internet Explorer, Netscape ed alcuni giochi, tra cui il Flipper. Pochi mesi dopo, potemmo collegarci ad Internet, tramite un piccolo *provider* del paese.
Tornavo da scuola, e la prima cosa che facevo era collegarmi, col mio modem 33.6K, e scaricare la posta. Avevamo un unico account per tutta la famiglia, come si usava ai tempi. Usai intere giornate a visitare siti in inglese su Jim Carrey, che allora, andavo alle scuole medie, era il mio attore preferito. E poi, ovviamente,
di DragonBall. Proprio a DragonBall Z, nel 1999, decisi di dedicare un sito web, costruito con l’editor di Netscape. I programmi FTP, il codice HTML, e tutto il resto, divennero miei amici. Avevo da poco iniziato le superiori. Sempre in quel periodo, conobbi i primi Newsgroup, forum, e chat online, in particolare quella di Digiland (Libero), e lì conobbi i primi coetanei con interessi comuni (musica, cinema, manga ed anime), con cui chattavo anche tramite IRC (Internet Relay Chat) e ICQ.
I ragazzi della mia generazione sono i primi “*millennials*”, i nati a metà degli anni 80, e siamo i primi “nativi digitali”. Credo che la mia vita sarebbe stata diversa se quel giorno non fosse arrivato un PC a casa della mia famiglia.
ripetizione informatica

Domanda 02 | 08

Qual è l’innovazione tecnologica che ti ha più segnato? E quale sarà, secondo te, quella più importante o sconvolgente in un futuro prossimo?

Nath — Se la mia generazione ha “perso” il passaggio dai DOS ai moderni sistemi operativi, da Windows 3.x in poi, ho vissuto tanti salti tecnologici: dall’HTML4 all’HTML5 e i siti “responsive”, dal fisso al portatile, da forum/newsgroup/chat a social networks… Ma la vera innovazione è stata quella da *laptop* a smartphone/tablet, perché ha portato il web con noi, 24 ore su 24. Un tempo si aspettava di ritornare a casa per rispondere alle mail o vedere se qualcuno ci avesse cercato. Ora il web attraversa con noi la città, riempie i momenti morti degli spostamenti coi mezzi pubblici, è una grande opportunità, ma anche un rischio di dipendenza, ed è per questo che si deve imparare a staccare quando si sta con le persone che abbiamo a cuore, anche solo per poche ore.

Domanda 03 | 08

Qual è la tua specializzazione? Qual è la sua importanza nel mondo informatico?

Nath — Lavoro da 12 anni per un portale leader nel settore, in un reparto I.T., e anche nel mio lavoro freelance mi occupo di tutoring per numerosi software e anche per l’uso dei social networks, di wordpress e della presenza sul web in generale.
Nel mio lavoro freelance, svolgo tante attività: il “badante informatico” per persone che non sanno barcamenarsi tra web e programmi, ma anche la formazione di piccoli professionisti e attività offline nel curare la loro presenza sul web, sia con lezioni *one to one*, sia tramite corsi organizzati dagli Ordini, per permettere ai professionisti di gestire in autonomia la loro presenza sul web, creando un brand, un logo, rendendo attive le loro pagine social, e creando un piccolo sito web/blog, curandone le parole chiave, la scrittura per il web, la SEO (Search Engine Optimization), scegliendo il “*tone of voice*” dei loro spazi web, e coltivando le aree semantiche del loro settore, ma anche imparando ad usare programmi di grafica.
Poi ho fatto alcune masterclass nelle scuole superiori, per fare in modo che i giovanissimi imparino quanto è importante sapersi orientare tra web e software per essere competitivi nel loro ingresso nel mondo del lavoro.

Domanda 04 | 08

Chi preferisci tra Bill Gates, Steve Jobs e Mark Zuckerberg? Perché?

Nath — La mia generazione aveva il mito di Bill Gates, e comunque faccio parte degli utenti PC e non degli utenti Mac, anche se per anni ho usato tablet
Mac, spesso dotazione aziendale, e ho tanti clienti che usano Mac, così come tanti studenti che usano Linux. Per anni ho anche frequentato forum di *debianisti* (appassionati del sistema operativo Debian) ed altri appassionati di Linux, e scrivo in varie riviste, tra cui Blender Magazine, che hanno come tema il software libero. Facebook è sicuramente il social che uso di più, e di Zuckerberg mi colpisce il fatto che è del mio stesso anno, un “vecchio *millennials*” del 1984. Credo che il mio account sia stato uno dei primi su Facebook, quando ancora, in Italia, lo avevamo in pochi ed erano tutti su Myspace.
Il nostro settore, l’informatica, inverte le dinamiche relative all’età: in altri settori, spesso, i giovani vengono visti come inesperti, che devono fare infinite gavette, mentre nelle aziende di informatica il giovane, almeno quello della mia generazione, tra i 30 e i 40, viene visto come rampante, se è capace. Non viene quindi “penalizzato” dal fatto di essere relativamente giovane, come invece succede in altri settori (architettura, settore pubblico, etc etc). Questo penso avvenga anche grazie a figure carismatiche come Zuckerberg.
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Domanda 05 | 08

Che cosa diresti ad una persona che sostiene che “l’informatica è una cosa troppo complicata?”

Nath — Ho avvertito questa problematica con alcuni studenti dei miei corsi di professionisti, di età media 50-60. Credo che sia naturale, succederà anche a noi, maturare un’ostilità per ciò che è arrivato dopo di noi, concetti e modalità estranei a quelli che abbiamo imparato da giovani. Le nostre prassi, a cui siamo affezionati, e che sono composti da una serie di passaggi che ormai diamo per scontati e che applichiamo senza pensarci, perché fanno strutturalmente parte della nostra vita, e persino del nostro modo di pensare, sembrano estranei e minacciosi a chi è nato e cresciuto prima di noi.
È una diffidenza che si vince. Molti professionisti pensano, ad esempio, che le attività si portano avanti col passaparola, e che sia quasi “immorale” presentarsi al mercato con un sito web o anche solo una *landing page* (un sito composto da un’unica pagina, un biglietto da visita virtuale per migliorare il nostro *personal branding*).
Qui, il compito dell’insegnante, non è meramente tecnico. Prima di insegnare tecniche e passaggi vari, bisogna lavorare su ciò che lo studente realmente vuole, sulle sue resistenze su quello che sta imparando. È la stessa difficoltà che si ha con chi crede di essere negato per le lingue, oppure per la matematica. È inutile insistere sui contenuti se non si lavora su quella resistenza o pregiudizio.

Domanda 06 | 08

Cartaceo o digitale? Come assicurare la qualità del contenuto, indipendentemente dal contenitore?

Nath — Non c’è un mezzo “superiore” all’altro, ma due strumenti che si devono saper usare, nelle loro peculiarità, e far interagire se necessario. Un buon lavoro pubblicitario sul cartaceo, ad esempio, può far “atterrare” l’utente su un nostro sito landing page. Chi ci ha trovato su un volantino, accattivante e curato nella grafica, può saperne di più, visitando il sito web presente sul volantino, dove approfondiamo la presentazione di noi stessi in modo strategicamente diverso.
Consiglio ai miei alunni, a chi volesse sviluppare il ramo grafico, un bellissimo libro, che si chiama “Imparo l’arte della grafica”, di Robin Williams (un’autrice che nulla ha a che fare con il compianto attore comico), che aiuta lo studente a visualizzare i contenuti con un’impaginazione che sia gradevole ed efficace. Il libro, pensato per la grafica per la stampa, in realtà contiene un sacco di concetti comuni, che possono far concepire in modo più efficace, non so, anche una DEM (Direct Email Marketing) da mandare ad una mailing list (una mail, ad esempio, di auguri di Natale per tutti i clienti). Lavorare solo sul digitale, o anche sul cartaceo, dipende, comunque, dalle richieste dello studente.

Domanda 07 | 08

Come la didattica a distanza può rivelarsi un utile strumento per il perseguimento dell’obiettivo finale?

Nath — Soprattutto le materie legate all’informatica, all’apprendimento dei software, dei sistemi operativi, dei comandi, sono adatte alla didattica/formazione a distanza (DAD, FAD). Con semplici programmi di
condivisione e schermo in remoto, l’insegnante può guidare l’alunno all’interno del programma, eseguire lui i comandi che intende insegnare, e, subito dopo, osservare lo studente nel suo tentativo di mettere in pratica ciò che ha appena imparato. A volte non è necessaria neanche una videochiamata, ma basta una buona connessione audio.

Domanda 08 | 08

Cosa ti rende un vero Superprof, che nessuna Intelligenza Artificiale potrà mai sostituire?

Nath — Ormai molti insegnanti producono dei videocorsi, o delle lezioni “demo” per presentare il proprio metodo di studio, ed incentivare gli alunni a fare poi il suo corso.
Oltre ai videocorsi, esistono FAQ, guide in linea, manuali online, e un sacco di strumenti che, pur ideati da docenti, si basano su piattaforme,
sistemi informatici, ricerche di argomenti per parole chiave. Possiamo definirli frutto di “intelligenza artificiale”? Non del tutto, ma sicuramente si avvalgono della tecnologia per permettere ad uno studente di
avere una nozione necessaria urgentemente, magari, per completare un lavoro o per accedere ad un software.
Quindi la didattica che mette insieme la cultura del docente e la tecnologia è utile? Certamente. È sufficiente? Spesso no. Un docente che si mette a disposizione per una lezione *in sincrono* (anche a distanza), può rispondere alle domande, può capire, dalla comunicazione *paraverbale*, se lo studente ha realmente capito, può personalizzare i contenuti. Il materiale didattico, corsi e tutorial, possono servire a chi ha già un’infarinatura, ottenuta tramite un corso base, ad esempio, e quindi sa “come” cercare rapidamente un breve tutorial per risolvere un problema pratico. Un buon docente può completare la sua lezione fornendo dei tutorial, da lui prodotti o da lui scelti nel web, per permettere allo studente di fissare i concetti.
Per concludere, un buon docente, di discipline legate all’informatica, deve saper sfruttare al meglio la tecnologia, per differenziare l’offerta formativa, ma rimane il fatto che senza la sua supervisione, organizzazione dei contenuti, e delle strategie, non esisterebbe un “corso”, né la trasmissione di un sapere.

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